Sono stati pubblicati il 7 ottobre, sulla rivista scientifica Nature Medicine, i risultati di una nuova ricerca condotta presso l’Università della Pensilvania che ha esplorato il potenziale terapeutico di una terapia genica per la distrofia muscolare di Duchenne basata sul trasferimento di una variante sintetica dell’utrofina. L’utrofina è una proteina con struttura molto simile alla distrofina presente in piccole quantità all’interno dei muscoli.I risultati dello studio indicano che la strategia potrebbe rivelarsi più efficace di quelle basate sul trasferimento di mini e microdistrofine ma è importante ricordare che si tratta di studi condotti in modelli animali e che saranno necessari altri approfondimenti prima di raggiungere conclusioni certe. 

Nell’ultimo anno si è parlato moltissimo di terapia genica per la Duchenne. La strategia è infatti in fase di valutazione nell’ambito di tre diversi studi clinici basati sul trasferimento di versioni più o meno piccole del gene della distrofina. L’obiettivo di questo approccio è permettere ai muscoli dei pazienti di produrre la proteina mancante mettendoli così almeno in parte al riparo dai danni indotti dalla sua assenza. Ma quali sono allora i motivi che hanno spinto i ricercatori del gruppo guidato da Hansel Stedman ad indagare il trasferimento dell’utrofina in  alternativa alla distrofina? 

Le ragioni di questa scelta risiedono in due considerazioni legate alla distrofina prodotta attraverso il trasferimento delle mini e microdistrofine ovvero, la funzionalità della proteina e la potenziale risposta immunitaria dell’ospite nei confronti della stessa. Essendo molto più piccole della distrofina originaria, le mini e microdistrofine potrebbero infatti assolvere solo in parte alle sue funzioni. Inoltre, il sistema immunitario dei pazienti, non avendo mai “visto” la distrofina, o avendone visto solo quantità piccolissime, potrebbe considerare l’improvvisa comparsa della proteina come un elemento estraneo, potenzialmente dannoso e da eliminare.

Come indicato da studi condotti diversi anni fa, se prodotta in quantità maggiori, l’utrofina potrebbe svolgere efficacemente le funzioni della distrofina e proprio nel tentativo di stimolarne la produzione sono stati sviluppati in passato diversi approcci, nessuno dei quali tuttavia si è dimostrato soddisfacente. Inoltre, poiché normalmente prodotta, sia pure in piccole quantità, una terapia genica basata sul trasferimento dell’utrofina non solleciterebbe una risposta immunitaria.

È proprio da queste considerazioni che nasce il lavoro del gruppo statunitense. Avvalendosi dei risultati di studi che hanno analizzato la struttura proteica della distrofina e dell’utrofina nel corso dell’evoluzione, l’equipe ha individuato le regioni chiave del gene dell’utrofina che andavano mantenute nella costruzione di una variante sintetica. Il gene ottenuto, la microutrofina, è stato inserito in un virus analogo a quelli impiegati nella terapia genica con le micro e minidistrofina – i virus adeno-associati AAV – e valutato in modelli animali per la DMD con complessità crescente. 

I risultati delle analisi condotte in topi modello per Duchenne (i topi mdx) trattati subito dopo la nascita con una singola somministrazione della microutrofina, hanno evidenziato la produzione della proteina nei muscoli e nel cuore e nessun segno di tossicità. Quando analizzati a livello microscopico inoltre, i muscoli dei topi non hanno mostrato i segni tipici della degenerazione e rigenerazione riscontrati in assenza di trattamento e anche la valutazione della funzionalità muscolare ha evidenziato performance migliori rispetto ai topi non trattati. 

Per valutare l’efficacia della microutrofina in un modello animale con una manifestazione della patologia più simile all’uomo, i ricercatori hanno proseguito i loro studi nel cane modello per la DMD, il cane GRMD, somministrando la terapia sia a pochi giorni dalla nascita che ad un’età più avanzata, quando i muscoli degli animali mostrano già i danni indotti dalla patologia. I risultati delle analisi condotte hanno confermato, in entrambi i casi, la produzione della microutrofina e l’assenza di tossicità. Similmente a quanto osservato nei topi, inoltre, anche i muscoli dei cani trattati benché più seriamente colpiti dalla patologia, hanno mostrato una riduzione del danno muscolare e dell’infiammazione. Non sono stati infine riscontrati segnali di attivazione di risposta immunitaria verso la microutrofina.

Per approfondire la valutazione di una potenziale risposta immunitaria indotta dalla terapia genica con la micriutrofina, i ricercatori hanno infine confrontato gli effetti della loro strategia con quella basata sulla somministrazione di microdistrofina mediata dallo stesso tipo di virus. Somministrando le terapie geniche in due arti distinti di un cane modello per la DMD particolarmente adatto alla valutazione della risposta immunitaria, l’equipe ha evidenziato una robusta espressione di microutrofina e assenza di infiammazione nelle biopsie muscolari dall’arto che aveva ricevuto questa terapia genica e solo tracce di microdistrofina e una forte reazione infiammatoria in quello trattato con la terapia genica canonica. 

I dati presentati supportano l’ipotesi che una terapia genica basata sul trasferimento di microutrofina potrebbe avere un impatto complessivamente migliore rispetto a quello ottenuto con le mini e microdistrofine. Nonostante i dati presentati siano incoraggianti, sarà fondamentale capire in quale misura i risultati raccolti nei modelli animali presi in esame possano essere traslati anche nei pazienti. E’ infine importante sottolineare che anche se teoricamente possibile, nessuno degli studi clinici in corso con micro e minidistrofine ha riportato finora problematiche di attivazione del sistema immunitario verso le corrispondenti proteine. 

A cura dell’Ufficio Scientifico di Parent Project aps