Tutti ne parlano, molti la aspettano, ma pochi sanno a che punto siamo realmente oggi e quanto ancora c’è da apprendere. La seconda giornata della conferenza annuale di Parent Project Muscular Dystrophy, svoltasi il 28 giugno ad Orlando (Florida), è cominciata con una serie di quesiti sulla terapia genica. Per alcuni sono state fornite le risposte, per altri la comunità scientifica sta ancora lavorando.
Che cosa è un AAV e come sono costruiti i vettori virali? Cosa è la risposta immunitaria e perché è un punto cruciale della terapia genica? Si può effettuare più di un trattamento? Quali sono gli effetti collaterali della terapia e quale l’efficacia nel tempo? Queste sono solo alcune delle domande affrontate.
La comunità scientifica è ben consapevole dell’aspettativa che le famiglie e i pazienti nutrono nei confronti della terapia genica. E tanto più le aspettative sono alte, quanto più è necessario l’impegno di ricercatori, clinici, biotech e associazioni di pazienti per trasferire informazioni chiare e complete ai pazienti e alle famiglie.
Gli AAV: i vettori virali per la terapia genica
Gli AAV (virus adeno-associati) sono virus di piccole dimensioni, della famiglia dei parvovirus, che si sono evoluti nel tempo in centinaia di serotipi diversi (ovvero diversi sottotipi) e hanno la capacità di infettare un largo spettro di cellule e di tessuti. Alcuni serotipi sono specifici per determinati tipi cellulari, tra cui ad esempio le cellule del tessuto muscolare. Sostituendo il genoma virale con il “gene terapeutico”, che nel caso della Duchenne si tratta di forme ridotte del gene della distrofina denominate mini e microdistrofine, il virus viene trasformato in un veicolo innocuo ed efficace per la terapia genica. Una volta messo in circolazione mediante somministrazione sistemica (ovvero per via endovenosa), l’AAV agisce come una specie di “Cavallo di Troia” che trasferisce nelle cellule il gene terapeutico con la successiva produzione della proteina mancante. Nel caso degli AAV, a differenza di altri vettori virali come i lentivirus, il gene terapeutico non viene integrato nel DNA della cellula bersaglio ma rimane come elemento separato nella cellula stessa. Per poter raggiungere tutte le cellule sono necessarie grandi quantità di virus.
Gli AAV sono virus non patogenici per cui ciascuno di noi potrebbe essere entrato in contatto con il virus senza saperlo. Quando il nostro organismo entra in contatto con un virus per la prima volta, il nostro sistema immunitario crea gli anticorpi per quel virus, in maniera tale che ad una seconda infezione (sempre dello stesso virus), il sistema immunitario è in grado di riconoscerlo e di combatterlo tempestivamente. Questo è un meccanismo di autodifesa estremamente utile per la nostra sopravvivenza ed evoluzione, che però nel caso della terapia genica con vettori virali può rappresentare un grande ostacolo e rischio. Per chi ha già sviluppato gli anticorpi per uno specifico virus, il trattamento con lo stesso vettore virale – utilizzato per veicolare il gene terapeutico – scatenerà una risposta immunitaria. Le grandi quantità di virus utilizzate per il protocollo di terapia genica fanno sì che tale risposta può rivelarsi forte e pericolosa per la vita del paziente.
La risposta immunitaria
Il meccanismo della risposta immunitaria è un punto cruciale per la terapia genica e bisogna tenere a mente un duplice aspetto. Il primo è che una buona percentuale della popolazione (stimabile tra il 20 e il 50%) già possiede gli anticorpi per gli AAV utilizzati per la terapia genica e ciò rappresenta, ovviamente, un criterio di esclusione per un eventuale studio clinico. In secondo luogo chi riceve un trattamento di terapia genica svilupperà gli anticorpi per l’AAV utilizzato, per cui non potrà essere sottoposto ad una seconda infusione. Per questo motivo quando si parla di terapia genica ci si riferisce sempre ad un unico trattamento, “one shot” come si usa dire nella comunità scientifica.
La risposta immunitaria è un aspetto fondamentale per la riuscita della terapia genica e per la sicurezza dei pazienti, infatti moltissimi degli sforzi messi in atto dall’intera comunità scientifica internazionale che lavora in questo campo sono focalizzati sullo studio di nuove strategie per superare questo problema. Strategie basate su agenti immunosoppressori, sulla messa a punto di nuovi vettori virali e anche di nuovi metodi di “trasporto” per il “gene terapeutico”, quali le nanoparticelle e le vescicole extracellulari.
Cosa devono sapere i pazienti e le famiglie
La terapia genica è una strategia terapeutica molto complessa, i cui studi pionieristici risalgono a 30 anni fa e per la quale il percorso di sviluppo clinico ha riservato molti ostacoli e battute di arresto. In questi ultimi anni stanno però arrivando i primi veri successi per una serie di malattie genetiche. Da circa un anno e mezzo il percorso clinico è stato avviato anche per la Duchenne, sappiamo che le aspettative sono molto alte ma sappiamo anche che si tratta di un percorso che sarà lungo e non esente da difficoltà per cui va affrontato con consapevolezza ed estrema cautela.
Proprio per questo Parent Project vuole puntare l’attenzione su una serie di informazioni che sono fondamentali per capire bene a che punto siamo e dove stiamo andando, quali sono le reali promesse di questa terapia sperimentale ma anche gli ostacoli ed i rischi. Informazioni che potranno essere la base per poter prendere una serie di decisioni, qualora ce ne sarà la possibilità.
- Una delle principali cose da sapere sulla terapia genica è proprio quella che abbiamo descritto sull’immunità (sia pregressa che acquisita) verso i vettori virali attualmente in uso per questa strategia terapeutica, che ne limitano l’applicabilità su una buona percentuale di pazienti e ne impediscono la ripetibilità.
- La terapia genica in generale è pensata come una terapia “one-shot”, perché mira a ripristinare una volta per tutte la funzione mancante dovuta al gene difettivo. Nel caso della distrofia muscolare di Duchenne, non esistono ancora dati di efficacia a lungo termine del trattamento con la terapia genica, per cui si potrebbe pensare di ricorrere ad una seconda infusione, ma questa possibilità è, ad oggi, preclusa per via della risposta immunitaria acquisita.
- Da non dimenticare inoltre che la terapia genica preclude la possibilità di poter partecipare ad altri trial clinici perché non c’è possibilità di fare un “wash-out”, ovvero di eliminare l’effetto del gene ormai introdotto nell’organismo.
- Riguardo alla questione dell’efficacia nel tempo, come già detto, per la Duchenne non esistono ancora dati che possano dare indicazioni. Molto probabilmente, l’età alla quale viene effettuata la terapia genica può influenzare la sua efficacia. Su questo aspetto si possono considerare diverse variabili che la comunità scientifica sta valutando: più il paziente è piccolo, minore sarà il danno muscolare e maggiore la probabilità che la terapia dia dei benefici; d’altra parte però, più il paziente è piccolo e più la sua massa muscolare aumenterà così come il turnover delle fibre muscolari (ossia il processo naturale di ricambio cellulare in risposta al danno e all’esercizio fisico) e nessuno sa se il “gene terapeutico”, che è giunto nel tessuto muscolare, sarà in grado di mantenere la sua azione. Tuttavia, più piccoli sono i pazienti e minore sarà la probabilità che abbiano avuto contatti con AAV durante la loro vita e che abbiano sviluppato gli anticorpi contro il vettore virale.
- Un altro punto da tenere a mente è che la terapia genica per la Duchenne prevede il trasferimento di un gene molto più piccolo della controparte “sana”. Nonostante siano parzialmente funzionanti, le mini e microdistrofine sono infatti il 40% più piccole della più piccola distrofina naturale riportata in un paziente Becker. Per cui resta da valutare in quale misura sarà in grado di svolgere la funzione che la distrofina svolge solitamente nelle cellule sane.
- Gli effetti collaterali della terapia genica più frequentemente riscontrati, a parte il più grave che riguarda la risposta immunitaria, includono febbre, nausea, alterazioni nella conta delle cellule del sangue, infiammazioni epatiche. E poi potrebbero esserci eventuali effetti tardivi, che al momento non sono ancora stati determinati.
- L’ ultima, ma ugualmente rilevante considerazione, è relativa alla produzione del virus su larga scala, ovvero in quantità commerciali. Come accennato all’inizio, per ogni singola somministrazione sono necessarie enormi quantità di virus. Al momento le aziende farmaceutiche e biotech riescono a produrre le quantità sufficienti per i pochi pazienti che sono attualmente in trial. La produzione per nuovi studi clinici estesi su scala mondiale, e per l’eventuale futura commercializzazione della terapia, richiede da parte delle aziende un’importante riorganizzazione strategica che comporta anche nuove collaborazioni e partnership. Una grande sfida sulla quale le aziende stanno attualmente lavorando.
Ilaria Zito e Francesca Ceradini, Ufficio Scientifico Parent Project aps