Un’importante novità della Conferenza Internazionale di quest’anno è stata la realizzazione di un meeting satellite, della durata di un pomeriggio, interamente dedicato alla distrofia muscolare di Becker. Durante l’evento, dal titolo “La distrofia muscolare di Becker: gestione clinica e sperimentazioni”, sono state illustrate le basi genetiche della patologia, la gestione clinica, gli aspetti psicologici e hanno parlato della loro vita quotidiana due pazienti Becker. Il meeting è stato inoltre l’occasione per presentare, nei dettagli, lo studio clinico con givinostat per la BMD, avviato lo scorso gennaio all’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.

di Francesca Ceradini, Mariangela Bellomo e Giada Perinel

Della distrofia muscolare di Becker si sente parlare sempre poco rispetto alla Duchenne, da una parte perché è una forma meno grave e con un’incidenza nettamente minore e dall’altra perché la grande variabilità clinica ne ha limitato le conoscenze scientifiche. Ed è proprio per accrescere l’informazione riguardo a questa patologia, ancora negletta, che quest’anno Parent Project onlus ha dedicato un ampio spazio esclusivamente alla Becker. Il programma scientifico del meeting sulla BMD è stato ideato in collaborazione con il Prof. Giacomo Comi, dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.

Il meeting è stato aperto da Adele D’Amico, dell’Ospedale Pediatrico bambino Gesù di Roma, la quale ha fatto una panoramica sulle basi genetiche e sulla clinica della BMD. Come la Duchenne, la Becker è una distrofinopatia, ovvero una malattie muscolare causata da un difetto della produzione di distrofina, ma a differenza della DMD, nella quale si ha una totale assenza della proteina, la BMD presenta un difetto solo parziale della distrofina. L’incidenza (il numero di nuovi casi) della BMD è inoltre molto minore, 1 su 18mila (gli ultimi dati aggiornati sulla DMD sono 1 su 5mila), ma con una prevalenza (numero di casi esistenti in un determinato momento in una popolazione) molto simile a quella della DMD poiché l’aspettativa di vita è invece molto maggiore.

D’Amico ha illustrato la grande variabilità clinica che caratterizza la distrofia di Becker: si va da pazienti con un alto valore di CK e asintomatici, a pazienti con un’intolleranza allo sforzo e mioglobinuria (presenza di mioglobina nelle urine con una colorazione rosso scuro o nera), fino ai pazienti con debolezza muscolare e quadri clinici definiti. Inoltre, i pazienti sintomatici stessi presentano un’enorme variabilità sia nell’età di esordio della patologia sia nell’età di perdita della deambulazione, che può andare dalla seconda alla sesta decade di vita, o persino non avvenire mai.

Anche per la Becker, come per la Duchenne, la maggior causa di morbidità e mortalità è causata dalla cardiomiopatia. Proprio a causa di una maggior aspettativa di vita e di buone performance motorie, il cuore dei pazienti BMD subisce un importante stress meccanico. Vi sono, inoltre, delle correlazioni tra cardiomiopatia precoce e sito del gene della distrofina in cui è presente la mutazione, in particolare nel caso di mutazioni nella parte iniziale della proteina (la cosiddetta parte N-terminale).   

I pazienti Becker, generalmente, hanno mutazioni che non alterano il codice di lettura del gene, per cui viene effettivamente prodotta una forma della distrofina che è funzionale ma non ottimale. Inoltre, a differenza della distrofia muscolare di Duchenne per la quale il 30% dei pazienti hanno una mutazione de novo, ovvero che non è ereditata dalla madre, nella Becker è un evento molto più raro.

La spiccata variabilità clinica della Becker è riconducibile a tutta una serie di diversi fattori (molti genetici): il sito in cui avviene la mutazione genetica, la percentuale di distrofina prodotta, l’attivazione di meccanismi molecolari all’interno della cellula e il profilo genetico globale del paziente. Per quel che riguarda il sito di mutazione, la BMD presenta non poche eccezioni alla regola dello schema di lettura con la quale si prevede la forma della patologia. È noto l’esempio della delezione che va dall’esone 3 all’esone 7, che dovrebbe causare una forma Duchenne ma che nella pratica può invece risultare una forma Becker. Alla base di questa discrepanza, vi è l’intervento di meccanismi molecolari che permettono la produzione di una forma di distrofina più corta, che parte dall’esone 8, che è funzionale. Le stesse mutazioni nonsenso, per le quali è prevista l’insorgenza della DMD, sono associate per il 14% ad un fenotipo Becker. Di esempi noti in letteratura ce ne sono ormai molti e la spiegazione è sempre collegata ad una serie di meccanismi molecolari (tra cui l’exon skipping naturale) che rendono il gene della distrofina nuovamente leggibile, anche se parzialmente, con la conseguente produzione di una forma ridotta di distrofina. Viceversa vi sono anche mutazioni che dovrebbero generare la BMD ma che danno invece un fenotipo Duchenne. Queste mutazioni, per le quali si ha una forma più severa della patologia rispetto a quella attesa, si trovano generalmente in regioni che sono fondamentali per la funzione meccanica della distrofina. Proprio per i motivi sopra elencati, per alcune mutazione è importante verificare la diagnosi genetica con una biopsia muscolare che riveli se si ha la totale assenza o, al contrario, una parziale presenza della distrofina nel tessuto muscolare. Questo permette di avere una miglior definizione della prognosi.

Le mutazioni associate alle forme più lievi di Becker sono quelle per cui viene mantenuta la corretta localizzazione di nNOS (ossido nitrico sintasi neuronale) sulla membrana delle cellule muscolari. nNOS è una proteina molto importante per la fisiologia del muscolo, in condizioni normali è localizzata sulla membrana mediante il legame con la distrofina ed è responsabile della produzione dell’ossido nitrico (NO). Questo interviene in diversi meccanismi molecolari, tra i quali la modulazione delle iston deacetilasi (HDAC) – proteine che regolano l’accensione e lo spegnimento di geni per lo sviluppo e per il differenziamento delle cellule muscolari – e l’aumento del flusso sanguigno all’interno dei muscoli durante l’esercizio fisico. Ad esempio, la delocalizzazione di nNOS dalla membrana causa un danno ischemico a seguito di contrazioni muscolari fisiologiche. Sono quindi fondamentali gli studi osservazionali che correlano il genotipo dei pazienti Becker, ovvero il profilo genetico (inclusa la mutazione sul gene della distrofina), e alcuni parametri molecolari, quali la percentuale di distrofina presente nel tessuto muscolare, la localizzazione di nNOS e altri fattori, con il fenotipo, ovvero l’andamento clinico. Uno dei motivi per cui, ad oggi, esistono pochi studi di questo tipo è il fatto che per ottenere risultati significativi bisogna avere studi a lunghissimo termine.

Conoscere al meglio la correlazione genotipo-fenotipo della distrofia muscolare di Becker è essenziale per gli aspetti prognostici: per poter sapere in maniera più definita quale sarà l’andamento clinico di un  paziente BMD e pianificare così un adeguato programma di gestione clinica. Ad esempio, sapere se la mutazione del paziente è correlata ad una cardiomiopatia precoce è fondamentale per poter attuare una prevenzione cardiaca come avviene generalmente per la distrofia muscolare di Duchenne. Inoltre, una conoscenza approfondita dei meccanismi molecolari è, ovviamente, propedeutica per la progettazione e lo sviluppo di future terapie. Non solo per la Becker ma anche per la Duchenne. La distrofia muscolare di Becker rappresenta, infatti, un modello naturale per comprendere la funzionalità di forme ridotte di distrofina nel tessuto muscolare. Forme che si possono ottenere anche con le strategie sperimentali basate sull’exon skipping nei pazienti Duchenne.

A seguire, Elena Pegoraro dell’Università di Padova, ha illustrato la gestione clinica della distrofia muscolare di Becker. Dagli anni ’60 ad oggi vi è stato un netto incremento dell’aspettativa di vita e una riduzione della disabilità. Un ruolo determinante in questo cambiamento lo ha avuto una migliore gestione clinica multidisciplinare della patologia: dalla componente muscolare, alla funzionalità cardiaca e respiratoria, dall’aspetto nutrizionale e gastrointestinale alla fisioterapia, fino al supporto psicologico.  Oltre ad ottenere un miglioramento della forza muscolare, tutto ciò si traduce anche in un importante miglioramento della qualità di vita. Nonostante la Becker abbia delle prospettive migliori rispetto alla Duchenne, il quadro è molto più complesso perché, come già illustrato da Adele D’Amico, si ha un’elevatissima variabilità clinica tra pazienti. Il maggior determinante di questa variabilità è la distrofina che, mentre nella DMD è completamente assente, nella BMD è parzialmente espressa ed è prodotta in quantità diverse nel tessuto muscolare dei diversi pazienti. In questi ultimi anni, tutta una serie di studi hanno dimostrato che i livelli di produzione di distrofina dipendono anche dal tipo di mutazione. In un quadro clinico di questo tipo, determinare un calendario delle valutazioni specialistiche per prevenire le complicanze è molto complesso e va definito su gruppi di pazienti.

Il monitoraggio della forza e della funzionalità muscolare è il primo punto da prendere in considerazione. Viene eseguito con una serie di test, e scale funzionali, per valutare la capacità di camminare, di fare i gradini e di usare le braccia, ed è fondamentale per seguire l’andamento clinico della patologia e per registrare importanti tappe quali la perdita della deambulazione o la comparsa di sintomi. Oltre a seguire il paziente stesso, questi dati sono importanti per poter migliorare la descrizione della storia naturale della distrofia muscolare di Becker, per la quale si hanno ancora diverse lacune, e rappresenteranno inoltre un importante strumento per la valutazione dell’efficacia di trattamenti sperimentali nei trial clinici.

La gestione cardiaca è un punto fondamentale nella BMD perché, come già spiegato da D’Amico, il tessuto muscolare cardiaco è sottoposto a stress meccanico e il 70-80% dei pazienti Becker sviluppa una cardiomiopatia dilatativa intorno ai 30 anni. La cardiomiopatia nella BMD esordisce con una dilatazione del ventricolo destro, caratteristica peculiare visto che il ventricolo che pompa il sangue nel cuore è il sinistro, ma poi con l’avanzamento della patologia la dilatazione diventa a carico del ventricolo sinistro. Anche sull’aspetto cardiaco si ha una correlazione genotipo-fenotipo: è stato dimostrato che mutazioni che avvengono in regioni specifiche del gene della distrofina predispongono per un esordio precoce della cardiomiopatia. Per il monitoragio cardiologico sono importanti l’elettrocardiogramma e l’ecocardiogramma, e ultimamente stanno emergendo delle metodiche più sofisticate che sono in grado di determinare più precocemente le alterazioni cardiache. È importante trattare precocemente la cardiomiopatia con terapia medica, a volte questa può richiedere l’impianto di defibrillatore o di pacemaker, l’assistenza meccanica ventricolare, e più raramente bisogna ricorrere al trapianto cardiaco. Alcuni studi hanno dimostrato che la sopravvivenza dei trapiantati di cuore Becker è la stessa di quelli che hanno altre patologie. È importante sottolineare che, ad oggi, non esistono Linee Guida specifiche per la popolazione Becker, generalmente si seguono le indicazioni che si usano in cardiologia per altri tipi di disturbi e patologie. Ancora una volta, risulta quindi fondamentale raccogliere dati sulla storia naturale della BMD per colmare questa lacuna.

Per quel che riguarda la funzionalità respiratoria, che è un aspetto predominante nella distrofia di Duchenne, nel caso della Becker sono presenti delle riduzioni della capacità respiratoria che compaiono tra i 30 e i 50 anni ma è raro che sorga un’insufficienza respiratoria grave che richiede la ventilazione meccanica.

Altri aspetti da tenere in considerazione nella gestione clinica dei pazienti BMD sono gli aspetti nutrizionali: si può andare incontro a obesità, o al contrario di sottopeso, e in questi casi è importante l’intervento del nutrizionista. Vi sono poi le problematiche legate all’apparato gastrointestinale, quali stipsi e reflusso che solitamente sono più marcate in pazienti che hanno perso la deambulazione. Infine, bisogna puntare l’attenzione anche sul metabolismo dell’osso, un aspetto più rilevante per quei pazienti che hanno un marcato deficit della forza muscolare. È noto che il muscolo ha un ruolo trofico sull’osso e tanto più sono deboli i muscoli tanto più le ossa vanno incontro a demineralizzazione, e quindi ad osteoporosi, con un maggior rischio di fratture. Anche su questo fronte ci sono una serie di interventi possibili.

Come illustrato da Pegoraro, le principali attività che sono progressivamente compromesse nella distrofia muscolare di Becker riguardano diverse aree, come avviene anche per la Duchenne, per cui è fondamentale un approccio multidisciplinare e gli stessi interventi di riabilitazione possono toccare i diversi aspetti.

Infine, Giacomo Comi, dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, ha illustrato lo stato dell’arte delle sperimentazioni cliniche per la distrofia muscolare di Becker, soffermandosi sullo studio clinico con givinostat, avviato a gennaio 2018, che lui stesso coordina presso l’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. Dal 1995 ad oggi, sono stati 15 i trial clinici condotti a livello internazionale su pazienti Becker, non pochissimi ma un piccolo numero rispetto agli oltre 50 trial che sono attualmente in corso per la Duchenne. Il primo, nel 1995, è stato ideato per valutare l’efficacia terapeutica del glucocorticoide prednisolone sia su pazienti BMD che DMD e, negli anni a seguire, sono stati testati anche altri farmaci per cui sono stati condotti trial anche nella Duchenne. Ne sono un esempio gli inibitori della miostatina e la follistatina (che agiscono aumentando la massa muscolare), il tadalafil e il sildenafil (che agiscono sulla circolazione sanguigna), e l’epicatechina (che agisce sui mitocondri per stimolare la rigenerazione muscolare). Purtroppo, gli studi clinici per la distrofia di Becker hanno avuto un altissimo tasso di fallimenti. Alla base di questi fallimenti vi è la difficoltà di riuscire a dimostare l’efficacia del trattamento per via di una variabilità troppo elevata dei risultati, fenomeno che dipende a sua volta dalla grande eterogeneità clinica dei pazienti reclutati nei trial. Si può dire che la variabilità nella BMD è stato un po’ il filo conduttore dell’intero meeting.

Comi ha, successivamente, presentato e illustrato il nuovo studio clinico con givinostat ideato e condotto in Italia. Givinostat è un inibitore delle iston deacetilasi (HDAC), sviluppato dall’azienda farmaceutica italiana Italfarmaco, e la sua sperimentazione sull’uomo nasce dai solidi risultati ottenuti da anni di ricerca di base condotta dal team di Pier Lorenzo Puri
Il percorso di sviluppo clinico di questa molecola sperimentale è iniziato nel 2013 per la Duchenne e, ad oggi, è in corso un trial clinico di fase 3 su oltre 200 pazienti DMD in 40 centri clinici nel mondo. Nei pazienti affetti da Duchenne l’assenza di distrofina causa, indirettamente, una deregolazione dell’attività delle HDAC, proteine che agiscono a livello epigenetico (ovvero su quei complessi meccanismi molecolari che regolano l’accensione e lo spegnimento dei geni), che si traduce nell’avvio di una cascata di eventi cellulari il cui risultato finale è una progressiva distruzione delle fibre muscolari associata alla sostituzione del tessuto muscolare con tessuto fibro-adiposo. L’utilizzo di givinostat, che inibisce l’azione delle HDAC, consente di ripristinare la corretta cascata di eventi che permettere al tessuto muscolare di rispondere al danno con un meccanismo antiinfiammatorio e rigenerativo. I dati ottenuti dal trial clinico di fase 2, condotto sui 19 bambini Duchenne, hanno dimostrato che givinostat è sicuro, ben tollerato e mostra un beneficio significativo sul tessuto muscolare: è in grado di ridurre l’infiammazione e la fibrosi con un aumento della componente muscolare.

Sulla base di questi buoni risultati Italfarmaco, insieme all’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, ha deciso di valutare le potenzialità e l’efficacia di givinostat anche nella distrofia muscolare di Becker. L’avvio di questo trial è impostato anche su un importante presupposto: i pazienti Becker producono una certa quantità, variabile, di distrofina e quindi agire sulla patologia modulando i meccanismi a valle della distrofina, come fa givinostat, può avere un importante effetto terapeutico. Lo studio clinico è condotto in un unico centro in Italia, che è appunto il Dipartimento di Scienze Neurologiche I.R.C.C.S. Fondazione Ca’Granda dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, e sarà successivamente avviato anche in un centro clinico in Olanda. Si tratta di un trial di fase 2, randomizzato, in doppio cieco controllato con placebo, per la somministrazione orale di givinostat (1mg/kg 2 volte al dì) per 12 mesi. L’obiettivo principale dello studio è valutare gli effetti istologici di givinostat, ovvero l’impatto del trattamento sulla struttura e composizione del tessuto muscolare dei pazienti Becker. Lo studio clinico valuterà anche la sicurezza, la tollerabilità e l’efficacia clinica di givinostat. Saranno arruolati 50 pazienti con una diagnosi genetica di distrofia muscolare di Becker, di età compresa tra i 18 e i 65 anni, deambulanti, che non siano in trattamento farmacologico o, se sono in trattamento con steroidi e/o farmaci cardiaci, che lo siano in maniera stabile da almeno 6 mesi. Vista la variabilità clinica dei pazienti Becker, è stato deciso di focalizzare lo studio sulla fascia intermedia, ovvero escludendo quei pazienti che hanno una forma asintomatica o molto lieve della patologia e quelli che hanno perso la deambulazione o che hanno sintomi gravi quali una cardiomiopatia severa. Infatti, i pazienti che possono essere reclutati devono avere un risultato di 6MWT, alla visita di screening, compreso tra 200 e 450 metri e una frazione di eiezione stimata con l’ecocardiogramma uguale o superiore al 50%. I pazienti arruolati vengono assegnati, in maniera casuale, al gruppo che riceverà givinostat o al gruppo che riceverà il placebo in rapporto 2:1 (i pazienti che riceveranno il farmaco saranno il doppio di quelli che riceveranno il placebo). Per poter valutare l’obiettivo primario del trial, ovvero gli effetti istologici di givinostat, saranno eseguite due biopsie muscolari, su tutti i partecipanti, una a inizio studio e la seconda al termine dei 12 mesi di trattamento. Sarà inoltre effettuata la risonanza magnetica muscolare, anche in questo caso una all’inizio dello studio e una alla fine, per osservare come cambia la morfologia del muscolo a seguito del trattamento con givinostat.

Ad oggi sono in corso le visite di screening e sono già stati reclutati i primi pazienti Becker. L’arruolamento andrà comunque avanti fino al primo semestre del 2019.

Durante il meeting, sono stati affrontati anche gli aspetti psicologici e sociali presenti nelle famiglie con ragazzi con la BMD. Tematica analizzata e presentata da Mariangela Bellomo e Giada Perinel, psicologhe del CAD Lombardia di Parent Project onlus. Bellomo e Perinel si sono prevalentemente soffermate sull’analisi dell’impatto che una diagnosi di BMD produce sulla famiglia. Dalla letteratura emerge che la diagnosi di malattia cronica/degenerativa viene vissuta dalla famiglia come un evento spiazzante ed improvviso, stressante e dalla forte valenza traumatica, che produce in tutti i suoi membri emozioni intense, spesso di evitamento, e che porta ad un cambiamento rispetto alle aspettative future. La famiglia si trova a dover elaborare il vissuto traumatico: a livello cognitivo poiché deve prendere consapevolezza e comprendere a pieno il significato della diagnosi, a livello emotivo si trova ad essere preda di preoccupazioni, paure e incertezze riguardo al futuro, a livello comportamentale è necessario integrare nel proprio stile di vita familiare visite, orari e cure del proprio figlio.

La diagnosi, in quanto evento traumatico, produce inevitabilmente un aumento del livello di stress. Le modalità in cui il “sistema famiglia”, e i singoli membri che lo compongono, fa fronte alla situazione stressante può essere di differenti modalità:

  • Si può assistere ad uno sbilanciamento su strategie attive: i membri della famiglia sono attivi da un punto di vista pratico mettendo da parte la componente emotiva. È possibile che in questo condizioni vengano attivate strategie di misconoscimento della realtà e che divenga difficile prendere veramente consapevolezza di quello che succede, mettendo da parte la sofferenza provata.

  • Si può assistere ad uno sbilanciamento sulla componente empatica: si diviene preda delle emozioni; gli individui si trovano in balia della sofferenza che diviene paralizzante.

  • Si può assistere ad un equilibrio tra la componente empatica e quella operativa.

 La letteratura sul tema, riferisce come le famiglie, che ricevono una diagnosi di patologia cronico/degenerativa, abbiano maggiore rischio di sviluppare patologie depressive, dipendenze e comportamenti più o meno problematici. In particolare, le coppie mostrerebbero un maggior rischio di andare incontro al conflitto e alla separazione coniugale. Altresì, la letteratura riferisce che fattori individuali, come la struttura di personalità dei partner, la modalità di gestione e di far fronte agli eventi stressanti, la fase del ciclo di vita, e la presenza di sistemi di supporto sociale, possono fungere da fattori che prevengono l’insorgenza delle difficoltà sopra elencate. Uno studio italiano ha individuato che le famiglie con un figlio Becker sperimentano un carico psicologico ed emotivo di impatto inferiore rispetto ai genitori con un figlio Duchenne, probabilmente perché la patologia ha un decorso clinico variabile ed imprevedibile. Questo elemento, se da una parte può essere considerato un fattore di protezione, dall’altra è segnalato dai genitori come un fattore di rischio poiché riferiscono di vivere nell’imprevedibilità. Le famiglie riportano che il proprio prendersi cura dei figli è un fattore di crescita personale e di resilienza, intesa come la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità.

Soffermandoci poi sull’impatto nel dettaglio che la diagnosi produce sui ragazzi nelle varie fasi del ciclo di vita. È emerso che:

  • Nell’infanzia i vissuti emotivi sperimentati possono essere di forte ansia; possono emergere problematiche nella regolazione emotiva (es. essere impulsivi), aspetti depressivi/ritiro sociale, aspetti impulsivi/ comportamenti oppositivi.

  • Nell’adolescenza si assiste ad un bisogno del ragazzo di maggiore autonomia e indipendenza. È la fase di individuazione e di svincolo in cui diviene importante protendersi verso il gruppo dei pari che diviene riferimento primario per l’immagine di sé. Alla luce di tutti questi cambiamenti emotivi, psicologici, fisici e comportamentali, in ragazzi possono sperimentare vissuti di rabbia rivolti a se stessi ed al proprio corpo che cambia o che non risponde come quello dei pari, verso i genitori, verso il gruppo dei pari, rispetto al futuro; possono emergere, inoltre, sentimenti di solitudine e di isolamento.

  • Nell’età adulta si assiste alla necessità di dare significato e soddisfazione ai bisogni di autonomia nell’incertezza, di trovare il modo migliore di vivere il presente con uno sguardo sul futuro. Si può parlare perciò di una indipendenza dipendente in cui sia pensabile oltre che attuabile, una vita autonoma, con un’assistenza che faciliti l’individuazione e favorisca la partecipazione, in cui sia massimizzata la propria indipendenza ed autodeterminazione.

L’aspetto sociale e psicologico della distrofia muscolare di Becker è stato poi approfondito con il coinvolgimento di due ragazzi BMD afferenti all’associazione: il delegato territoriale per la Lombardia Fabio Superti e Antonio Bellon, proveniente invece dal Veneto. La loro testimonianza è stata fondamentale per consolidare alcuni aspetti psicologici relativi all’impatto della Becker, al processo di adattamento alla patologia – anche all’interno della famiglia – e ai cambiamenti corporei.

Sentire la loro esperienza diretta è stato arricchente su due piani:

  • Personale: in quanto entrambi hanno riferito che apportare il loro contributo ha permesso loro di essersi sentiti utili, meno soli, in “buona compagnia”;

  • Collettivo: ascoltare il loro racconto ha permesso a ragazzi, famiglie, operatori, di entrare maggiormente in contatto con i vissuti di chi affronta in prima persona la BMD, creando vicinanza, calore e desiderio di condivisione.

Da questa esperienza, inoltre, tra i due ragazzi, e anche altri presenti alla Conferenza, è nata una bella amicizia e un desiderio maggiore di contribuire alla comunità Becker attraverso l’organizzazione di giornate in cui radunarsi tutti per stare insieme e condividere le proprie esperienze.

La loro partecipazione ha permesso, quindi, la condivisione non tanto di informazioni tecniche, ma più che altro di verità, di esperienza concreta, di vita. Di speranza.