Il panorama della distrofia muscolare di Duchenne e Becker sta cambiando giorno dopo giorno. I risultati che arrivano dal mondo della ricerca scientifica sono di grande portata: ad oggi circa 25 farmaci hanno ottenuto la designazione di farmaco orfano per la DMD/BMD e due sono approdati all’approvazione accelerata per la Duchenne. Grandi conquiste dal punto di vista scientifico, ma dal punto di vista dei pazienti? Quali sono le reali aspettative sugli studi clinici in corso, e su quelli ancora in avvio, da parte delle famiglie? Se ne è discusso alla Conferenza Internazionale con una tavola rotonda alla quale hanno partecipato genitori di pazienti Duchenne, clinici e aziende farmaceutiche.
di Francesca Ceradini
La tavola rotonda è stata introdotta da Luca Genovese, Presidente di Parent Project onlus, e da Filippo Buccella, fondatore dell’associazione e responsabile della ricerca e del network clinico. “Negli ultimi dieci anni la ricerca ha fatto passi da giganti e la prospettiva dei ragazzi Duchenne sta cambiando radicalmente, con un netto miglioramento della qualità di vita. Questo è stato reso possibile dall’intera comunità Duchenne e anche grazie al lavoro che Parent Project sta portando avanti da ormai venti anni – ha dichiarato Genovese – Sebbene la scienza abbia dato i suoi risultati tangibili, questi non sono ancora risolutivi. Per questo motivo è importante continuare ad impegnarsi anche sugli aspetti quotidiani e non meramente medici della patologia.” Il punto di partenza della discussione della tavola rotonda è stato proprio questo: in un periodo di tale “fermento scientifico” nel campo della Duchenne, è ovvio che l’attenzione delle famiglie e dei pazienti sia focalizzato sui risultati e sulle promesse degli studi clinici ma bisogna saper rimanere con i piedi per terra e concentrarsi sulla qualità di vita nel quotidiano perché ci si potrebbe scontrare con aspettative troppo alte, o con aspettative che non sempre coincidono con quelle della comunità scientifica.
“I trial sono spesso percepiti dai pazienti come delle opportunità, ma non è sempre così – ha sottolineato Filippo Buccella – le fasi 1 e 2 sono fasi fondamentali per il processo di sviluppo di una terapia ma si tratta di un vero e proprio esperimento che può andar bene come può andare male. Partecipare ad un trial rappresenta un grande sacrificio per le famiglie e potrebbe deludere le aspettative.” Ad esempio, un aspetto molto importante da prendere in considerazione nella partecipazione ad uno studio clinico è il fatto che la maggior parte delle sperimentazioni sono controllate con placebo (sostanza simile al farmaco sperimentale ma priva di azione farmacologica). Un’esigenza richiesta dalle agenzie regolatorie, anche se con una dichiarata volontà di ridurre sempre di più il numero di pazienti che in uno studio prendono il placebo, per la quale al momento non ci sono molte alternative. Con la partecipazione ad un trial molti genitori vogliono dare l’opportunità al figlio di avere accesso ad un farmaco sperimentale innovativo, ma quest’aspettativa potrebbe scontrarsi con la realizzazione, dopo uno o due anni, che il bambino non ha potuto trarre nessun beneficio dallo studio perché ha preso il placebo. “Dobbiamo essere consapevoli che per molti di noi la partecipazione ad un trial non si fa per avere una terapia per i nostri figli, ma per quelli che verranno – ha spiegato Luca Genovese – Con questa visione possiamo ridimensionare le nostre aspettative e dare un significato diverso alle sperimentazioni cliniche, orientato sull’interesse collettivo”.
Un altro punto critico è sicuramente la delusione delle aspettative che hanno le famiglie con i ragazzi più grandi, ovvero i pazienti che hanno più urgenza di avere a disposizione un nuovo farmaco ma che sono ad oggi solitamente esclusi dai trial perché non rientrano nei criteri di reclutamento. La maggior parte degli studi clinici in corso coinvolgono infatti pazienti deambulanti e con un’età che va dai 7 ai 13 anni. A questo riguardo però le novità sono incoraggianti, in conferenza è emerso chiaramente che uno degli obiettivi di diverse aziende farmaceutiche impegnate sul fronte della Duchenne è di riuscire ad allargare il più possibile la fascia di età dei partecipanti ai trial. Prendendo in considerazione i bambini piccoli, con un’età inferiore ai cinque anni e quindi nella fase precoce, e forse più contrastabile della malattia, ma anche i ragazzi e i giovani adulti che fino ad oggi sono rimasti esclusi. Ne sono un esempio Cardero Therapeutics con gli studi su Epicatechina, Sarepta Therapeutics con la strategia dell’exon skipping, PTC Therapeutics con Translarna e Santhera Pharmaceuticals con Raxone. Alcune di queste aziende hanno dato il loro contributo alla discussione partecipando alla tavola rotonda.
Affrontando poi la tematica del ruolo delle biotech nel portare avanti la ricerca clinica si è aperta la questione sull’importanza di una comunicazione corretta e tempestiva dei progressi e risultati delle sperimentazioni cliniche. “Negli ultimi anni in Italia è stata creata un’importante rete di dialogo tra aziende farmaceutiche, ricercatori, clinici e pazienti, con Parent Project sempre in prima linea nell’organizzazione di convegni, incontri territoriali e webinar – ha dichiarato Eugenio Mercuri del Policlinico Universitario Gemelli di Roma e coinvolto come coordinatore di molti studi clinici – Ma nonostante tutte queste accortezze, noi clinici che siamo a contatto con i pazienti che partecipano ai trial ci accorgiamo che le aspettative sono ancora troppo alte e che spesso la comunicazione dei risultati da parte delle biotech non è adeguata per le famiglie.” La comunità dei pazienti, in Italia come all’estero, ritiene che sia un diritto quello di poter aver accesso, in tempi brevi, ai risultati dei trial ai quali si partecipa. Senza dover aspettare i comunicati stampa delle aziende o le pubblicazioni scientifiche che escono dopo anni. Non sono rari gli esempi di famiglie che non hanno mai saputo niente sui dati ottenuti dallo studio clinico al quale partecipava il figlio, o che sono venute a conoscenza dei risultati leggendoli direttamente su un comunicato stampa pubblicato sul web. “Ci dovrebbe essere un impegno formale da parte dello sponsor della sperimentazione clinica, verso le famiglie, per la comunicazione dei risultati in tempi ben definiti – ha commentato Filippo Buccella – Non importa se dopo 2 mesi, 6 mesi o un anno, l’importante è che i dati vengano messi a disposizione nel tempo concordato.” Inoltre, la condivisione dei dati dei trial, sia che siano positivi sia che siano negativi (includendo i dati sul placebo), è fondamentale non solo per le famiglie ma per tutta la comunità scientifica per capire in che direzione procedere, e per non ripetere gli stessi errori su altri studi clinci. “Il tema di un accordo formale fatto tra aziende e famiglie è molto importante perché fa parte di un rapporto di fiducia – ha sottolineato Francesco Muntoni, Direttore del Dubowitz Neuromuscular Centre all’University College di Londra – Darebbe una mano anche a noi clinici per sapere quali dei risultati che abbiamo in mano possiamo divulgare, nella maniera più corretta possibile, alle famiglie.”
Una grande criticità è, inoltre, la diversa visione che hanno le famiglie Duchenne rispetto alle aziende farmaceutiche e alle agenzie regolatorie. I risultati che sono stati ottenuti negli ultimi anni da diversi studi clinici sono spesso stati percepiti in maniera diversa da chi porta avanti la sperimentazione clinica, o la deve regolare, e da chi la sperimentazione la fa sulla propria pelle. Lo stesso vale per i rischi, i cosiddetti effetti collaterali, che si è disposti a prendere per avere a disposizione un nuovo trattamento che dia dei benefici. È capitato che alcuni risultati non siano stati considerati sufficienti dalle agenzie regolatorie ai fini autorizzativi di una terapia sperimentale, mentre rappresentavano dei risultati importanti, anche se non di grande impatto, in termini di beneficio per la vita quotidiana dei pazienti. Ne è un emblematico esempio l’interruzione dello studio clinico condotto con la molecola sperimentale drisapersen per l’exon skipping dell’esone 51. Nel 2016 le agenzie regolatorie, sia quella statunitense che quella europea, hanno dichiarato che i risultati del trial di fase 3 presentati dall’azienda BioMarin non avevano raggiunto il livello di evidenza significativa rispetto all’efficacia, da qui la decisione di BioMarin di interrompere il trial e altri studi di exon skipping che avevano nella loro programmazione. Decisione che arriva in maniera brusca e inaspettata alle famiglie coinvolte nel trial, le quali avevano invece una percezione completamente diversa. “La sensazione delle famiglie, e anche mia personale, è che drisapersen desse dei benefici tangibili – ha dichiarato Luca Genovese, coinvolto in prima persona nello studio clinico – Noi genitori eravamo ben consapevoli del fatto che non fossimo di fronte ad una vera soluzione del problema, ma abbiamo notato un rallentamento della degenerazione che per noi vuol dire tanto perché può significare camminare anche due anni in più.” Ed è proprio qui il nodo del problema: mentre la comunità scientifica e gli enti regolatori valutano la rilevanza scientifica e statistica dei risultati di uno studio clinico, e forse si aspettano che un farmaco possa arrestare completamente la patologia, i pazienti e le famiglie ne valutano l’impatto sulla loro qualità di vita. Benefici apparentemente piccoli, che possono non essere sufficienti secondo le agenzie regolatorie a mandare avanti l’iter di sviluppo di una terapia innovativa, possono invece fare la differenza per un paziente e per la sua famiglia. Avere a disposizione un farmaco che dia la possibilità a un paziente Duchenne di fare anche un semplice scalino vuol dire superare la maggior parte delle barriere architettoniche che si trovano in una città. Riuscire a camminare per 50 metri in più può non essere significativo nell’ottica della valutazione regolatoria di un trial, ma può voler dire camminare qualche anno in più per un ragazzo. “Bisogna ricordare che migliorare la qualità di vita di un ragazzo Duchenne vuol dire migliorare la qualità di vita dell’intera famiglia e del suo entourage – ha sottolineato Stefano Mazzariol, vicepresidente di Parent Project onlus – E ciò avrà degli effetti positivi anche nell’ambito lavorativo dei genitori. Insomma, da un piccolo beneficio clinico si scatena un effetto a cascata che alla fine si ripercuote su tutta la società.”
Ed è proprio su queste diverse percezioni e diverse aspettative che bisogna lavorare, instaurando un dialogo costruttivo tra pazienti, aziende farmaceutiche e agenzie regolatorie. Innanzitutto, le famiglie dovrebbero illustrare chiaramente agli enti regolatori cosa si aspettano da uno specifico studio clinico e quali risultati sono per loro sufficienti per portare avanti lo sviluppo di un nuovo farmaco o terapia. A questo riguardo il team di Eugenio Mercuri, in collaborazione con quello di Francesco Muntoni, sta lavorando per costruire un questionario per raccogliere in maniera strutturata le opinioni delle famiglie coinvolte negli studi clinici. L’idea è poi di portare i dati ottenuti dal questionario, che rappresentano la percezione delle famiglie sui benefici del trattamento in sperimentazione, direttamente alle agenzie regolatorie per poter così valutare i risultati dei trial con un importante fattore in più: la “voce dei pazienti”. “Le sensazioni valgono come semplici sensazioni finché queste non vengono trasformate in dati con una rilevanza scientifica. E i dati sono lo strumento attraverso il quale gli enti regolatori si basano per le approvazioni dei farmaci innovativi”, ha dichiarato Eugenio Mercuri. Le diverse aziende farmaceutiche che hanno partecipato alla discussione si sono dimostrate assolutamente d’accordo su questa iniziativa e sulla necessità di ricevere dei riscontri da parte delle famiglie. “Sarebbe un percorso molto utile, i pazienti sono in grado di catturare dei cambiamenti che i test che abbiamo a disposizione nei trial non sono in grado di fare – ha commentato Paolo Bettica di Italfarmaco – e questo rappresenta una preziosa fonte di informazioni che possono avere un peso significativo nelle decisioni da parte dei regolatori.” D’altra parte le aziende si impegneranno sul fronte di una comunicazione corretta e tempestiva ideata ad hoc per aggiornare le famiglie sui risultati e sugli sviluppi degli studi clinici, anche nell’ottica di fornire ulteriori informazioni utili ai pazienti per poter poi dare opinioni e poter prendere decisioni.
Ancora una volta, è stata sottolineata in conferenza la necessità di avere una solida collaborazione tra ricercatori, clinici, pazienti, aziende farmaceutiche e agenzie regolatorie per lavorare in maniera efficiente sul processo di sviluppo di terapie innovative per la Duchenne e Becker. Una collaborazione nella quale il paziente ha una posizione centrale e può avere un importante ruolo come “consulente” per la valutazione dei risultati degli studi clinici e per definire le priorità della ricerca clinica in generale.