Come è nata la tua collaborazione con Parent Project al progetto dal quale è nato “Design for Duchenne”?
La collaborazione con Parent Project onlus è nata inizialmente in maniera casuale: nel 2011 ho vinto la graduatoria per accedere ad un dottorato in Tecnologia dell’Architettura presso il Dipartimento di Architettura di Ferrara. La ricerca dottorale era cofinanziata tra Parent Project e l’Università di Ferrara. Ricordo con piacere la figura di Fabio Amanti, in quanto era presente nei colloqui finali del concorso. Fin da subito mi sono imbattuto in una realtà a me semi-sconosciuta dal momento che non avevo conoscenze specifiche sulla distrofia di Duchenne e i suoi risvolti psicologici e medici. E’ stata fin da subito una sfida in quanto i “problemi” erano tanti, e gli strumenti informativi o normativi molto deficitari. Nella prima fase di studio della malattia Parent Project e il suo staff sono stati fondamentali.
Che cosa hai provato nel lavorare a questo progetto? Che cosa ti ha dato a livello individuale e come ricercatore? 
La notizia di intraprendere una ricerca mirata al soddisfacimento di persone con necessità specifiche ha fatto nascere in me una grande curiosità. Durante gli anni accademici ho perfezionato la conoscenza di un metodo progettuale rivolto al soddisfacimento di quanti più utenti possibili. Tale metodo, chiamato Design for all, mira a progettare e pensare spazi, oggetti e interfacce per un’utenza allargata, senza tralasciare i bisogni più specifici e puntuali. Si è trattato di un percorso formativo che è iniziato durante la mia tesi di laurea con il progetto di un plesso scolastico comprendente asilo nido e scuola dell’infanzia sulle colline forlivesi e che si sta tuttora compiendo con progetti rivolti ad una progettazione ampia, inclusiva ed universale.
Ritengo impensabile, come professionista e come cittadino italiano, che esistano ancora oggi barriere nelle nuove costruzioni. Certamente occorre effettuare un cambio culturale di mentalità e di priorità per cercare di colmare le disuguaglianze presenti, ma il più delle volte tali ostacoli sono di matrice culturale ed informativa. Pensare di progettare spazi e ambienti realmente accessibili per un’utenza complessa, come quella di persone affette da distrofia muscolare di Duchenne, è stato un lavoro stimolante e molto interessante che ha comportato uno sforzo progettuale e culturale importante.
Per cercare di garantire spazi accessibili è stato necessario slegarsi dalla comune prassi progettuale studiata durante i primi anni universitari per cercare nuove distribuzioni e modalità del vivere quotidiano che partissero dalle reali necessità ed aspettative dell’utenza coinvolta.
Il fatto di svolgere una ricerca con un risvolto etico importante è stato determinante, per me,  per cercare di non dare nulla per scontato, di alzare l’asticella della qualità del lavoro sempre più in alto, di non accontentarsi mai, di migliorarsi sempre. Auspico che le informazioni trasmesse possano davvero risolvere problemi di natura tecnico e distributiva riguardo le azioni quotidiane delle famiglie Duchenne.
Il tuo lavoro ha prodotto delle linee guida estremamente utili, che potranno trovare applicazione pratica nelle quotidianità di molte persone. Quanto è stato importante per te questo aspetto, nel portare avanti il tuo lavoro su questa tematica, come architetto e come ricercatore?
L’obiettivo della ricerca era quello di produrre strumenti utili e di immediata applicabilità per progettisti e famiglie, che consentano agli uni di interpretare correttamente e consapevolmente il proprio ruolo e alle altre di ottenere servizi, prodotti e spazi adeguati alle proprie esigenze e alle proprie disponibilità economiche.
Data l’importanza della ricerca, per me è stato un obbligo e uno stimolo quello di riuscire a centrare l’obiettivo nei tempi stabiliti.
Svolgere una ricerca con un fine misurabile e concreto è stato sicuramente un fine ambizioso in quanto, a  livello internazionale, ad oggi non esistono informazioni simili per una patologia complessa come la DMD e pertanto quella condotta da me è stata una ricerca sperimentale, che partiva da una base di informazioni scarse. La ricerca, inoltre, ha comportato un costante aggiornamento riguardo a nuove scoperte o indicazioni mediche.
Sapere che le informazioni trasmesse sarebbero andate in mano alle famiglie o ai professionisti per modificare i loro spazi domestici mi ha obbligato, da una parte, a fornire informazioni attendibili e di qualità elevata, dall’altra a non dotare il manuale di informazioni prestabilite e standard. Questi due termini non dovrebbero mai essere accomunati nel progetto di ambienti per un’utenza complessa come quella distrofica. Non esistono regole prestabilite per progettare un’abitazione accessibile. E’ sbagliato fornire indicazioni senza conoscere la singola persona con la quale stiamo progettando. Le Linee Guida, pertanto, cercano di informare le famiglie e i professionisti sulle necessità, bisogni ed esigenze presenti e future dei ragazzi DMD e delle loro famiglie; cercano di trasmettere un modus operandi utile per effettuare scelte ragionate in base alle reali necessità.
Il lavoro di ricerca ha premesse molto articolate ma anche molto stimolanti in quanto, oltre alla complessità della malattia, è stato necessario interfacciarsi con una normativa italiana in merito al superamento delle barriere architettoniche alquanto deficitaria ed obsoleta.
Fino a qualche anno fa la ricerca progettuale di soluzioni per l’accessibilità pubblica o privata si è riferita, più o meno consapevolmente, alle esigenze di due tipologie di utenza molto specifiche e caratterizzate da una certa stabilità e omogeneità dei parametri funzionali. Le disabilità motorie (para e tetraplegia) e visive (ipovisione di varia natura e cecità) sono state per anni il riferimento principe delle ricerche, tanto che i testi di legge più importanti vigente in Italia (la Legge n. 13 del 1989 e il conseguente Decreto Ministeriale 286/1989), possono essere considerati come quasi esclusivamente destinati alla loro tutela. Per più di venti anni in Italia si è ritenuto un edificio accessibile se coerente a quanto stabilito da questa normativa, fatto che ha contribuito, al di là delle intenzioni di chi l’ha promulgata, a costruire una cultura dell’accessibilità parziale ed incompleta.
Oggi sappiamo che ogni persona presenta esigenze diverse in funzione delle diverse condizioni in cui si trova, nelle diverse fasi della sua vita. Sappiamo che la disabilità della persona è determinata non solo dalle sue caratteristiche e funzionalità fisiologiche, ma anche, e soprattutto, dal diverso grado di supporto del contesto in cui si trova a vivere.
Nel corso della ricerca hai avuto molti momenti di scambio diretto con le famiglie della comunità Duchenne, anche su aspetti molto pratici legati alla progettazione. Come è stato confrontarsi con loro?
Lo scambio con le famiglie è stato determinante per la buona riuscita del lavoro. I ragazzi DMD con le loro famiglie sono stati i protagonisti assoluti della ricerca. È per loro che la ricerca è stata pensata; è grazie a loro che la ricerca ha preso via del tutto inesplorate e nuove; è grazie a loro che si sono definiti bisogni ed esigenze specifici per cercare di colmare lacune od ostacoli della vita quotidiana.
L’intero lavoro ha come principale obiettivo la loro soddisfazione.
Il viaggio di conoscenza con le famiglie è stato intenso, a volte anche duro, ma sicuramente mi ha dato molta soddisfazione.
Le famiglie, nel momento in cui viene comunicata loro la diagnosi e malattia del figlio, si trovano a dover compiere (o per lo meno conoscere) azioni complesse riguardo al benessere abitativo e psicologico per garantire una vita qualitativa al proprio figlio.
Pertanto consiglio di iniziare a ragionare sull’accessibilità domestica il prima possibile. È vero che la tecnologia e le prassi mediche si evolvono ad una velocità sorprendente, ma aspettare l’ultimo momento (per garantirsi la migliore e più nuova tecnologia presente sul mercato commerciale e per possedere maggiore sicurezza sulla stato degenerativo della malattia), non paga a lungo termine, a mio parere. È bene che un bambino DMD cresca relazionandosi fin da subito con un contesto inclusivo e flessibile. La scelta di effettuare lavori all’ultimo momento ha una ricaduta micidiale sulla psiche del ragazzo, che vede il modificarsi degli ambienti domestici per sua “responsabilità”.
La ricerca ci insegna che non è così.
Il più delle volte è il contesto nel quale viviamo che mette maggiormente in risalto i nostri limiti o i nostri pregi; accorgimenti come i sottotitoli nei programmi televisivi hanno reso, ad esempio, inclusiva una società dotata di tale tecnologia per le persone affette da sordità.
Come vedi il tuo futuro? Vorresti continuare a lavorare nell’ambito della progettazione per l’accessibilità, in particolare in relazione all’ambito della DMD?
Sicuramente cercherò di continuare a progettare e pensare per le persone e per il loro benessere.
La società, anche a causa dell’invecchiamento della popolazione, si sta sensibilizzando sui temi riguardanti l’accessibilità fisica, cognitiva e sociale e si stanno svolgendo ricerche interessanti per garantire autonomia alle persone con disabilità temporanee o permanenti.
Grazie all’attualità del tema analizzato, le possibili aree di ricerca future sono molto vaste ed eterogenee. I manuali ad oggi elaborati sono limitati alla descrizione e prescrizione degli spazi interni all’abitazione; la necessità e l’intenzione sarebbe quella di proseguire il lavoro, sviluppando e completando quello già svolto, su tematiche inerenti gli accessi, i trasferimenti orizzontali e verticali, le pertinenze, il garage, gli spazi comuni in condomini o palazzi. Tali tematiche sono di vitale importanza per integrare il prodotto attuale e creare uno strumento completo per famiglie e tecnici professionisti, che sia di ausilio nella corretta definizione degli spazi interni ed esterni della casa.
Un’ulteriore area di indagine potrebbe essere rivolta ad ampliare le indicazioni fornite agli spazi pubblici e commerciali. Il tema dell’accessibilità e dell’inclusione sociale è in rapido sviluppo e dovrebbe rappresentare un punto di riferimento per le future scelte politiche ed istituzionali. A causa del cambiamento demografico degli ultimi anni, in Europa l’età media dei cittadini si sta sempre più alzando e perciò riuscire a garantire spazi e servizi pubblici e privati accessibili ed inclusivi dovrà essere una priorità a beneficio di tutte le persone, disabili o normodotate. In uno scenario di questo tipo, il design potrebbe e dovrebbe avere un ruolo importante in quanto riuscire a progettare in funzione dei bisogni, necessità ed aspettative delle persone è garanzia di qualità; se a questi aspetti sociali e culturali affianchiamo le innovazioni del settore ICT, il raggiungimento dei risultati è garantito.
Per concludere ci tengo a ringraziare pubblicamente Parent Project onlus per l’opportunità datami, sperando di continuare a collaborare per cercare di migliorare la qualità della vita delle famiglie Duchenne.