Durante la Conferenza Internazionale tenutasi a Roma dal 21 al 23 Febbraio 2014 la Dott.ssa Pugliese, psicologa del CAD Nazionale, ha illustrato, in sessione plenaria, un intervento dal titolo “Diventare Adulti. Autonomia e Qualità della vita”.
Con il passaggio dall’infanzia alla vita adulta i ragazzi con DMD/BMD vanno in contro ad una serie di cambiamenti funzionali che possono incidere in maniera significativa sulla qualità della vita quotidiana. I due cambiamenti principali consistono nella progressiva perdita della deambulazione – che rende necessario l’uso della carrozzina, da prima manuale e successivamente elettronica – e nel peggioramento del funzionamento cardiaco che rende necessario l’utilizzo di farmaci e delle funzioni respiratorie, anche in questo caso compensate dall’uso di ausili per la respirazione.
Tali cambiamenti avvengono in una fase molto delicata della vita che coincide con l’ingresso nell’adolescenza. E’ possibile quindi che il ragazzo si trovi a vivere uno scontro tra il bisogno di autonomia, tipico di questa fase, e la sempre maggiore dipendenza dai genitori e dalle altre figure di accudimento, ad esempio in ambito scolastico.
E’ noto quanto l’autonomia e l’indipendenza rappresentino per ogni ragazzo delle grandi conquiste, rispetto alle quali anche i genitori devono confrontarsi. Normalmente il bisogno di autonomia del ragazzo si scontra con il bisogno di protezione dei genitori e la negoziazione tra questi due bisogni opposti può risultare spesso molto faticosa. Nel caso di ragazzi DMD/BMD il processo di sviluppo emotivo ed affettivo viene in qualche modo arrestato dalle difficoltà funzionali che determinano un regressione che colpisce soprattutto la sfera dell’autonomia.
Il processo di individuazione personale e di svincolo dal sistema familiare può quindi essere compromesso, il confine tra l’autonomia e la dipendenza diventa difficile da gestire: i ragazzi vorrebbero farcela da soli ma potrebbero non essere nella condizione di farlo.
Inoltre, in adolescenza il corpo cambia, si trasforma sempre più nella forma di quello adulto ed anche in questo caso, i ragazzi DMD/BMD possono trovarsi nella condizione di vedere frustrati alcuni bisogni e pulsioni, pensiamo ad esempio alla sfera affettiva e sessuale.
Questo complesso groviglio di eventi può generare vissuti di rabbia, solitudine e isolamento.
La letteratura sottolinea quanto la rabbia sia sicuramente un’emozione ricorrente che i ragazzi riferiscono contro se stessi per non essere “in grado di” o rispetto ai cambiamenti in corso, verso i propri genitori in quanto sentono di essere trattati in modo diverso dai loro coetanei, verso il gruppo dei pari, impegnati nei propri processi di conquista dell’indipendenza, verso il futuro percepito come incerto. Incompresi dalla famiglia e dai pari, i ragazzi si sentono spesso soli e possono provare vissuti di isolamento sociale, emotivo ed affettivo tale da far pensare alla disabilità come una condizione più sociale che funzionale.
Per questo, considerando anche la sempre maggiore aspettativa di vita, risulta opportuno approcciarsi alla crescita dei ragazzi verso l’età adulta puntando ad una sempre migliore qualità della vita.
Quanto detto fino ad ora rende i nostri ragazzi a rischio di una qualità di vita non del tutto adeguata. Gli studi dimostrano, infatti, che i ragazzi con DMD/BMD hanno una percezione della qualità della loro vita inferiore a quella dei coetanei non affetti dalla patologia. Tuttavia gli stessi studi dimostrano che tale percezione non diminuisce con l’aumentare dell’età, ossia i ragazzi più grandi, pur con i cambiamenti funzionali di cui abbiamo parlato prima, non si definiscono meno soddisfatti della loro di vita rispetto ai DMD più piccoli.
Questo perché? Sono stati individuati alcuni fattori che contribuiscono a mantenere elevata la qualità di vita. Il primo è quello che viene definito Coping, ossia l’insieme delle strategie cognitive e comportamentali messe in atto dalla persona per fronteggiare una situazione di stress, ciò che un individuo fa effettivamente per affrontare una situazione difficile o dolorosa a cui non è preparato ed il modo in cui si adatta emotivamente a tale situazione. Ad esempio, da un punto di vista motorio, sono note le strategie assolutamente originali che i bambini e ragazzi acquisiscono per compiere alcune azioni motorie, rialzarsi da terra o mettersi a letto. Da un punto di vista sociale può risultare più complesso pur trattandosi di adattamenti che i ragazzi fanno continuamente, ma basti pensare alla scelta di impegnarsi in attività di studio o professionali che non prevedano la completa mobilità. Alcuni esempi sono quelli di alcuni ragazzi impegnati in blog sul cinema, in attività giornalistiche o di produzione e composizione musicale attraverso il pc.
Un altro elemento che può contribuire positivamente alla qualità della vita è sicuramente un adeguato supporto da parte della famiglia, sia per quanto riguarda l’assistenza che deve cercare di andare sempre nella direzione dell’autonomia e non di un sovra-aiuto, sia per quanto riguarda la comunicazione. In questa fase in cui il ragazzo si trova a dover effettuare scelte importanti per la sua vita, quali la scuola da frequentare e di conseguenza il lavoro da svolgere, è opportuno che i genitori diano supporto aiutandolo ad avere un quadro concreto e propositivo dei propri limiti ma anche delle proprie risorse e opportunità
Un accento particolare va posto su un importante fattore determinante una migliore qualità di vita che è la partecipazione sociale. Gli studi dicono che uno degli elementi che rende i ragazzi più soddisfatti della propria vita è dato dalla possibilità di partecipare alle attività sociali, questo anche nei casi in cui per poter partecipare è necessario l’utilizzo di ausili, quali la carrozzina. Quando i ragazzi DMD e BMD si espongono rispetto all’utilizzo degli ausili in termini di costi benefici, se da un lato emerge il senso di vergogna, il sentirsi osservati, dall’altro viene citata l’autonomi, la possibilità di “sentirsi come gli altri”, di fare quello che fanno gli altri senza che sia necessaria la presenza dei genitori. È chiara quindi la necessità di dover aiutare il ragazzo nell’accettazione dell’ausilio per poter favorire la capacità di mettersi in discussione e sperimentarsi socialmente.
La partecipazione sociale deve quindi essere considerato un importante fattore predittivo di salute e benessere. Gli studi indicano che dopo i 10 anni di età si assiste ad una sempre minore partecipazione alle attività sociali, soprattutto per via del fatto che le attività sociali in questa fascia d’età coincidono con quelle sportive che, con lo sviluppo e l’evoluzione della patologia, devono necessariamente ridursi o trasformarsi. In questo senso, è opportuno che le attività sociali si orientino nella direzione di discipline sportive “possibili”, quali ad esempio il baskin o l’hockey su carrozzina che vedono già molti dei nostri ragazzi come protagonisti; oppure verso attività sociali che non prevedono l’essere esposti a prestazioni fisiche ma si basino su competenze “relazionali”, interattive, come corsi di teatro, gruppi parrocchiali etc etc.
L’obiettivo a cui come genitori, come clinici e come operatori dobbiamo tendere, in definitiva, è quello di una vita indipendente e attiva, cercando di perseguire l’autonomia possibile identificata nel concetto di “dipendenza indipendente”. Dobbiamo quindi aiutare i ragazzi a massimizzare la propria indipendenza attraverso tutte le azioni che possono portare ad aspirare e realizzare una vita autonoma. Un esempio concreto può essere quello legato all’assistenza di cui normalmente si fanno carico prevalentemente e, in alcuni casi, esclusivamente i genitori, enfatizzando quel rischioso circolo vizioso per cui “nessuno è in grado di prendersi cura di me come i miei genitori”, nella visione del ragazzo, e “non vuole che nessuno oltre a noi si prenda cura di lui”, nella visione dei genitori. Queste risultano essere due posizioni difensive che manifestano da un lato la paura di crescere del ragazzo che si può esprimere anche attraverso comportamenti regressivi, fobie legate all’alimentazione o più in generale alla morte; dall’altro l’incertezza sul futuro, la paura connessa al “far crescere” che può spingere il genitore a non attivare tutta una serie di servizi di assistenza, a partire da quella scolastica fino a quella domiciliare, che potrebbero rendere la vita del proprio figlio davvero più autonoma. Il senso del concetto di vita indipendente è in parte questo, ossia rendere il ragazzo in grado di identificare il proprio bisogno di assistenza per poter poi scegliere come soddisfarlo sulla base dell’organizzazione generale della propria vita.
Sicuramente quando i bambini diventano ragazzi, la dissonanza tra la sempre maggiore complessità della situazione clinica e l’orientamento alla vita adulta rende difficile mantenere e promuovere una prospettiva sul futuro poiché risulta essenziale dare significato a bisogni di autonomia nell’assoluta incertezza su ciò che potrà accadere. È allora davvero necessario trovare il modo migliore per vivere il presente con uno sguardo al futuro.
La strategia in questo senso non può che essere quella di interventi integrati a partire dalla migliore gestione clinica possibile secondo le indicazioni degli interventi che mi hanno preceduto. All’interno di questa rete, voi famiglie e noi operatori possiamo lavorare insieme per favorire una comunicazione aperta e chiara con il ragazzo, per attivare servizi di assistenza che siano davvero attivi e orientati alla costruzione di una vita indipendente; per favorire percorsi di orientamento scolastico e inserimento professionale calibrati sugli interessi e sulle reali possibilità dei ragazzi. Tutto ciò, continuando a promuovere la partecipazione alle attività di socializzazione nel gruppo dei pari.