micUn resoconto per chi non c’era
“I trial clinici e la ricerca Duchenne e Becker nel mondo”, questo è iltitolo del convegno organizzato da Parent Project che si è tenuto aMilano lo scorso 15 e 16 febbraio. Un incontro che ha riunito più di250 partecipanti – tra famiglie, clinici e ricercatori – e che ha datola possibilità ad ognuno di fruire di un importante scambiod’informazioni e di sensazioni.
Nella giornata di venerdì si è parlato di quegli strumenti che non fanno direttamente parte del mondo della ricerca ma che sono essenziali per farlo procedere. Un esempio è il Treat-NMD, un network europeo di eccellenza – operativo da gennaio del 2007 – che ha come obiettivo il coordinamento e l’armonizzazione della ricerca nel campo delle malattie neuromuscolari, sia per la ricerca di base che per lo sviluppo di nuove terapie. Ed è proprio al network europeo che, da quest’anno, si va ad affiancare il Registro Italiano Pazienti DMD/BMD. Si tratta di uno strumento fondamentale, finora mancante nel panorama della distrofia muscolare Duchenne e Becker, che permetterà di raccogliere dati e disseminare informazioni che possano accelerare la definizione di nuovi approcci clinici e terapeutici. Un secondo importante network, presentato da Fabrizio Racca dell’ospedale Molinette di Torino, è la Rete piemontese per l’assistenza dell’Insufficienza Respiratoria: un programma sanitario regionale basato su di un modello di assistenza per la presa in carico globale e continua del paziente.
La giornata di sabato è stata invece all’insegna della ricerca di base e dei trial clinici. Una quindicina di ricercatori, venuti dai vari angoli dell’Italia e del mondo, hanno fornito una panoramica sulle diverse linee di ricerca che a livello internazionale perseguono lo stesso traguardo: trovare una terapia contro la distrofia muscolare di Duchenne e Becker. Le presentazioni hanno illustrato lo stato dell’arte nel campo della terapia genica, cellulare e farmacologica, puntando l’attenzione non solo sulle novità ma anche su ciò che procede o ciò che si è fermato, sottolineandone sempre le potenzialità ed i limiti.
milanomeeting1L’obiettivo più ambizioso della comunità scientifica è quello di poter sostituire il genedifettoso della Distrofina con uno completamente sano. Ciò potrebbe essere effettuato mediante l’introduzione nelle cellule muscolari della forma intera del gene della distrofina, ma le enormi dimensioni del gene (il più grande del nostro organismo con ben 2.4 milioni di basi) rendono l’impresa ardua. Con il passare degli anni, i ricercatori di tutto il mondo hanno capito che la migliore strategia è quella di attaccare la DMD su diversi fronti, sviluppando approcci diversi con bersagli diversi ma che vadano tutti a confluire sullo stesso obiettivo: il muscolo scheletrico, la sua forza e la rigenerazione cellulare.
Se da una parte diversi gruppi di ricerca (tra cui i francesi) tentano di trovare il “cavallo di Troia”  – plasmidi o vettori virali – per far entrare il gene sano della distrofina nell’organismo umano, c’è chi d’altra parte cerca una nuova strategia per riparare il gene difettoso già presente nel tessuto muscolare. Su questo principio si basa l’exon-skipping: una tecnica con la quale si tenta di recuperare la funzionalità della distrofina eliminando il pezzo danneggiato direttamente a livello dell’RNA messaggero. Questa linea di ricerca è al momento una delle più promettenti e ad uno stadio avanzato, diversi gruppi stanno puntando in questa direzione: olandesi, inglesi, australiani, italiani e francesi. Le tecniche usate differiscono leggermente tra loro, ma il bersaglio (la distrofina) e il meccanismo d’azione (l’eliminazione di uno o più esoni) sono gli stessi. Il gruppo olandese (Prosensa), che ha avviato per primo un trial clinico con Exon skipping, è già in fase II con risultati incoraggianti; il consorzio inglese MDEX è in fase I; e il gruppo italiano, guidato da Irene Bozzoni, si sta preparando per una futura sperimentazione clinica.
Un secondo tipo di strategia si basa invece sulla terapia cellulare. Si parte dal presupposto che se non si riesce a fornire al muscolo il gene sano della distrofina una valida alternativa può essere quella di fornire direttamente cellule muscolari sane. Questo filone di ricerca è iniziato negli anni ’90 con studi pionieristici basati sull’utilizzo dei mioblasti (le cellule progenitrici muscolari). Dopo gli scarsi successi – dovuti alla bassa sopravvivenza e capacita’ di migrazione di queste cellule – e con  l’avvento delle grandi scoperte sulle cellule staminali, i ricercatori hanno cominciato a puntare l’attenzione proprio sui diversi tipi di cellule pluripotenti che si trovano nel nostro organismo. Ricercatori di gruppi italiani, francesi ed americani hanno illustrato il panorama mondiale degli studi sulle potenzialità terapeutiche delle cellule staminali adulte – isolate dal midollo osseo, dal sangue e dal muscolo – e anche di quelle embrionali, che da quest’anno si sono aggiunte alla lista.
A queste strategie si aggiungono quelle di tipo farmacologico. In realtà, sotto il termine di “terapia farmacologica” sono raggruppati tutta una serie di approcci diversi che hanno come obiettivo finale quello di sviluppare delle molecole (viste come moderni farmaci biotech) che possano agire direttamente sul danno a livello del gene, come ad esempio il PTC124, regolare i meccanismi responsabili della rigenerazione del tessuto muscolare, come nel caso degli inibitori delle deacetilasi e del ACE 031, o semplicemente cercare di rendere più forti i muscoli anche in mancanza di distrofina.
In questo panorama di strategie terapeutiche la parola chiave è il “profilo genetico”. E’ oramai chiaro che la maggior parte degli approcci sono ideati per tentare di “riparare” una specifica mutazione a carico del gene della distrofina, ad esempio si parla di PTC124 per le mutazioni “non senso” o di exon skipping per il “frameshift” causato da delezioni o duplicazioni. In quest’ottica la corretta diagnosi genetica diventa una priorità per il paziente e per la ricerca, un concetto che si ritrova alla base della realizzazione del Registro Pazienti.
Il messaggio che è emerso dal meeting è abbastanza chiaro: la ricerca è in una fase di sviluppo molto importante nel campo della Duchenne e Becker, ma bisogna essere realistici non si possono fare passi da giganti, piuttosto tanti piccoli passi che speriamo possano portare lontano. Come ha sottolineato Giulio Cossu, i diversi filoni di ricerca presentati al convegno sono tutti molto promettenti ma nessuno può essere miracoloso, la cura non arriverà domani (ma i ricercatori già lavorano per un dopodomani) e probabilmente la soluzione si baserà su una strategia che racchiude diverse tipologie di approcci. Proprio per questo motivo la collaborazione dell’intera comunità scientifica è di fondamentale importanza.
 
Francesca Ceradini